CHIESA S. MARIA LA NOVA

Fu costruita nel 1500 con breve apostolico di Alessandro VI, sotto il patronato di Francesco II Orsini duca di Gravina e conte di Terlizzi. La chiesa, ubicata a poco meno di duecento metri dal Borgo su un terreno costeggiante la via larga che da allora si chiamò degli Osservanti, nacque contestualmente ad un cospicuo complesso conventuale corredato di celle fratesche, foresteria, aule, biblioteca, parlatorio, depositi vari, cucina, refettorio, chiostro, orto, giardino, cisterne. Dopo la Collegiata, fu il sepolcreto cittadino per antonomasia. Ne 1619 l’edificio fu rinnovato a spese della conventualità “con l’aiuto della Vergine”, come recita l’iscrizione latina, incisa lungo il fregio di cimasa terminale del fianco meridionale della chiesa, e con il concorso del patriziato e del popolo, dato che già dalla seconda metà del ‘500 la nobiltà aveva cominciato a costruirsi il proprio altare gentilizio sulla parete di ambito, in corrispondenza degli archi delle navatelle, con antistante conditorio riservato, distinto da quello comune, esteso alla navata e destinato al popolo. Poi soprattutto nell’arco del Settecento la stessa nobiltà si costruì il proprio pantheon in S. Maria La Nova, chiamata tuttora da tutti la Chiesa del Convento, scomparso invece, quest’ultimo dal XIX secolo nella gran mole incompiuta del seminario. Le maggiori casate ebbero così la loro cappella gentilizia con altare, conditorio, arme araldica e lapidi commemorative. La chiesa è a pianta basilicale molto allungata, a tre navate scandite dagli archi di sette fornici che concludono la loro fuga prospettica nell’abside presbiteriale al centro della quale campeggia la grande tela del Pordenone, raffigurante una Madonna in trono fra S. Francesco e il Battista. Nel 1701 furono aperti i fornici trasversi delle navatelle, mentre nel 1714 vi furono apposti il pulpito e i sedili lignei perimetrali ad usum pauperum. Dal 1783 al 1872, S. Maria fu sede provvisoria della Chiesa Matrice della città fino alla consacrazione della nuova Cattedrale, che si andava costruendo sull’area della distrutta Collegiata di S. Michele. Ne 1854, sul fondo della seconda arcata di sinistra fu aperta la cappella del Sacramento, ma la chiesa perdette il grande altare iconostasico di legno scolpito sul cui dossale era la pala del Pordenone. Il 1866 il complesso immobiliare attiguo alla chiesa, a seguito delle leggi eversive del Regno d’Italia, passò prima al Demanio, poi al Comune: fino al ’69 la chiesa rimase chiusa; il 1873 fu restaurata ; il ’77 un fulmine abbattè il campanile. L’architettura interna è sobria nel suo apparato ordinale di lesene e di fasce trabeate, che legano, in modo sintatticamente corretto, pareti, archi e volte. Le decorazioni a stucco fra i sodi delle orditure, di gusto settecentesco, sono gustosamente distribuite. L’aula basilicale, chiara e pacata, ha una buona illuminazione naturale che dall’alto si diffonde negli spazi delle navate minori.